Manifesto

Matteo Tambussi, Oliver Dawson

Corre l'anno 2022 e l’esistenza di noi Sapiens è simmetricamente divisa tra un’esperienza fisica ed una digitale: il digitale è prepotente nelle nostre vite al punto di portarci a riclassificare la “vita vera” in un suo nuovo spazio ben delineato, un nuovo contenitore sintattico chiamato IRL, in real life. La dinamica di queste due sfere, tutt’altro che divise e anzi, sempre più interdipendenti, al momento ruota attorno a poche grandi aziende che accentrano e ‘coltivano’ i dati degli individui con la stessa frenesia con cui la società stessa si getta voracemente sui prodotti di una Terra sempre più povera di risorse. Questi nuovi “cibernetici signori degli anelli” (cit.) usano tecniche sempre più potenti (anche grazie all’aiuto di algoritmi di Intelligenza Artificiale) per orientare le nostre credenze, i nostri consumi, in ultimo i nostri comportamenti.

Internet doveva salvarci e invece rischia di essere la nostra nemesi. 

Eppure, il web nacque con uno spirito di sostenibilità e decentralizzazione: l’idea, originata in seno all'esercito americano che sviluppò la sua prima incarnazione, era quella di avere una rete di informazioni che fosse impossibile da abbattere con un solo attacco. 

Come spesso accade, il capitale, questa volta nelle vesti dei moloch delle banche dati, ha impacchettato la "comodità di utilizzo" in un design e in sottoprodotti concorrenziali, e tramite esso ha catturato il monopolio di alcuni servizi fondamentali, come la ricerca di informazioni, la condivisione di immagini e di ogni altra forma di contenuto.

Internet doveva unirci, e invece è diventato lo strumento nelle mani di pochi per dividerci in recinti.

Forse, come altre volte a salvarci sarà la musica, che spesso si trova al centro delle rivoluzioni culturali più importanti.
In tempi non troppo lontani, prima il rock & roll e poi la brit invasion modificarono completamente la cultura popolare degli anni ‘50 e ‘60, dal modo di vestire ai rapporti sentimentali, dai più comuni comportamenti sociali a nuove tendenze di consumo, verso un nuovo stile di vita in aperto antagonismo con la generazione precedente e i suoi strumenti usurati ed obsoleti.

Nel decennio successivo la musica è diventata la colonna sonora della protesta, nei confronti della guerra e di norme sociali considerate obsolete. Gli artisti stessi si rendono conto del potere immenso della musica e uno degli eventi più importanti degli anni ‘80 è il Live Aid che fece arrivare al grande pubblico il tema della fame nel mondo dando la possibilità di contribuire ad un cambiamento. In quegli anni la musica diventò centrale per sensibilizzare sulla piaga dell’AIDS e, soprattutto negli Stati Uniti con la nascita dell’Hip Hop, sulla diffusione del crack.

La musica ha guidato anche la rivoluzione più importante degli ultimi anni: internet. La condivisione degli mp3 ha non solo portato tantissimi nuovi utenti a scoprire la rete, ha anche aiutato a sviluppare tecnologie importanti come il peer-to-peer (che sta alla base della blockchain) e a definirne la sopravvivenza nonostante le chiusure di Napster e l’avvento della sharing economy centralizzata. 

Oggi la musica e l’arte in generale stanno contribuendo nuovamente alla diffusione delle logiche peer-to-peer, questa volta rafforzate dalla blockchain, dagli smart contract e dagli NFT, e sono al centro di una rivoluzione digitale che spinge verso una decentralizzazione del valore della nostra vita digitale. L'utente del web e il suo portafoglio digitale diventano un tutt'uno, navigano la rete e si collegano a nuove piattaforme di servizi e contenuti mantenendo il pieno controllo del valore che su queste piattaforme viene generato, condiviso e digitalmente “vissuto”. Prendendo possesso di questi strumenti, la speranza è che l'utente possa finalmente reclamare il possesso delle sue interazioni, il valore della sua creatività, sia essa musicale o visiva, e possa incentivare gli altri a credere in tali idee, diventandone i co-beneficiari.

Da affittuari di spazi altrui, diventeremmo a tutti gli effetti cittadini della Rete, con nuovi onori ed oneri.

Questo nuovo modo di usare internet ci permette di sognare un futuro tecnologico più umano e che forse collegandoci fra di noi, facendo rete e decentralizzando il potere, potremo finalmente recuperare la nostra identità.

In omaggio a questa decentralizzazione, ROBOT Festival ha scelto di dislocare il festival tra più location nella città di Bologna, arricchendo di molto l'esperienza del festival. Dal 5 all’8 ottobre ci troverete all’Accademia di Belle Arti, al DumBO, a Palazzo Re Enzo, all’Oratorio di San Filippo Neri e al TPO, luoghi molto diversi per storia e per visione, ma proprio come il futuro che sogniamo, questa pluralità ci rende più ricchi e interessanti. 

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